Ode al London Dry Gin, rileggendo il Disciplinare

Il Disciplinare comunitario con cui si è definita la categoria del “London Gin” è stato frutto di discussioni animate e vide la sconfitta dei produttori inglesi che chiedevano che potesse essere prodotto solo in Gran Bretagna.

 

 

ginclopedia-sQuesto intervento del legislatore, a 10 anni di distanza, merita di essere analizzato per bene, per capirne l’effetto e la portata: una decade fa, il Gin era ai primordi del Rinascimento che stiamo vivendo oggi, e i pochi limiti imposti alla categoria, hanno permesso questa espansione di consumi e offerta. Aver dato la possibilità ai Mastri Distillatori di poter sperimentare tecniche e ingredienti vari, ha permesso una vivacità complessiva che ha mosso il mercato, attratto più appassionati. Il Regolamento è servito, a mio parere, a dare uno strumento valido a chi volesse sperimentare, prova ne è che in questi 10 anni sono nati Gin molto diversi da quelli a cui eravamo abituati nei precedenti due secoli (vedi Gin Mare e Monkey 47).

 

Le migliori offerte su amazon.it

 

A leggere attentamente il paragrafo che descrive il “London Gin” si nota che c’è scritto davvero tutto. L’intero intervento è molto vario e lascia spazio all’immaginazione imprenditoriale, ma questa parte è molto ben limitata, e fortunatamente senza dover essere prodotto solo in UK.

Il London Gin è un tipo di gin distillato:
ottenuto esclusivamente da alcole etilico di origine agricola, con un tenore massimo di metanolo di 5 g/hl di alcole al 100 % vol., il cui aroma è dovuto esclusivamente alla ridistillazione di alcole etilico in alambicchi tradizionali, in presenza di tutti i materiali vegetali naturali impiegati

La Comunità Europea ci spiega che questo categoria di Gin deve essere prodotta a partire da un alcol etilico di qualità superiore: se per tutti gli altri”spiriti” (tra cui i “Gin”e i “Distilled Gin”) la quantità massima di metanolo è di 50 grammi per ettolitro, per il “London Gin” deve averne al massimo 5 grammi. E poi si descrive perfettamente gli impianti necessari per la produzione: si parla infatti di “alambicchi tradizionali”, serve necessariamente richiamarsi alla storia della distillazione del Gin, non è permessa nessuna innovazione.

Il risultante distillato deve avere un volume alcolico di almeno 70%

Qui si descrive la qualità del processo, che deve tendere alla massima qualità ottenibile

Qualora sia aggiunto altro alcole etilico di origine agricola in seguito, esso deve avere le medesime caratteristiche di quello iniziale

Eventuali correzioni devono mantenere la medesima qualità di base dell’alcol iniziale, come detto più pregiato di quelli utilizzabili nelle altre categorie

Non deve contenere edulcoranti in quantità superiore a 0,1 g/l di prodotto finale o coloranti aggiunti
Non deve contenere alcun altro ingrediente aggiunto diverso dall’acqua

Il titolo alcolometrico volumico minimo del London gin è di 37,5 % vol.;
Il termine “London Gin” può essere completato dal termine «dry».

In sostanza, il “London Dry Gin” è (o dovrebbe) essere per definizione più “pregiato”, mi si passi il termine, ma è la definizione stessa dell’alcol di base da cui partire a darci questa indicazione. Tutto il procedimento è ben descritto, si specifica la specie di Ginepro da usare (Juniperus Communis), quali tipi di alambicchi scegliere, e come procedere.

Fin qui, tutto bene, ma dove sono le analisi dei Gin che mi raccontino che il tale brand segua il Disciplinare?
E le spettrografie che accertino che il Ginepro sia davvero predominante?

Manca, sempre a mio modesto parere, nel disciplinare, l’obbligo di indicare gli ingredienti usati nelle ricette, come per ogni altro alimento, anche per motivi legati ai possibili allergeni. Un’etichetta più descrittiva aiuterebbe nella scelta, così come veder scritte le calorie di ogni porzione di Gin, ci aiuterebbe ad indirizzarci verso prodotti di qualità, magari bevendo meno ma meglio.

 

3 comments

  1. Molto interessante! Tracciabilità ed etichettatura informativa sono i prossimi passi da calcare.

  2. Grazie per l’articolo. Da un lato ritengo sia positivo che non vengano imposti limiti eccessivi, in quanto potrebbero generare un’appiattimento dei prodotti immessi sul mercato, dall’altro, non dare delle specifiche su questioni sostanziali come la quantità minima di ginepro o la tipologia di alambicco (alambicco tradizionale, purtroppo, non è una categoria e rimane quindi un termine vago) può essere controproducente in termini di qualità.

    • Sante parole! Viva la creatività che il Gin offre agli imprenditori, ma un NO categorico alle mistificazioni. Viva chi scrive nell’etichetta tutte le informazioni necessarie di propria sponte. C’è ancora tanto da studiare, decine di varietà di Ginepro da sperimentare, che attualmente non possono definirsi Gin se non usano il Juniperus Communis. Così come la tecnica di costruzione dei distillatori procede, il termine tradizionale non ci aiuta minimamente, e poi tradizionalmente il Gin è stato fatto male per anni.
      Riassumendo, come consumatori, faremmo meglio a scegliere i distillati che non lesinano informazioni in bella vista sull’etichetta.

Leave a Reply