L’annuale appuntamento formativo di The Gin Guild, il Ginposium, ha evidenziato problematiche e nuovi trend del Gin nel mondo.
La Gin Guild annualmente convoca i suoi iscritti e non, per una sessione formativa della durata di un giorno, nella quale vengono analizzati aspetti in maniera molto approfondita. Molti gli spunti, molte le riflessioni, molte le problematiche che questa giornata ci lascia.
Il Ginposium, dopo i rituali saluti del direttore Nicola Cook e del “Grand Rectifier” Ed Pilkington ha avuto inizio con un seminario sul “foraging”
Argomento di sicuro interesse, il foraging nel Regno Unito è una pratica molto ben regolamentata, le ditte che se avvalgono davvero; hanno bisogno di uno studio e approfondimento notevole, nonché di numerose autorizzazioni. James Firth, forager per l’ottimo Fisher Gin, tra le altre cose, ci ha guidati in un’escursione nella campagna britannica, in cerca delle peculiarità che possono rendere unico un distillato. Da notare, che il forager è una figura ben precisa e ben codificata dalla legislazione locale, a differenza di quanto accade in Italia, dove questa pratica non ha un albo professionale o regole ad hoc per l’uso industriale o nel settore ho.re.ca.
La seconda tematica, affidata al dottore Ulrich Dyer, forse la più interessante della giornata, verteva sui “sapori locali” e su come un approccio scientifico possa supportare la creazione di un Gin tradizionale. Tramite analisi specifiche, è possibile capire nel dettaglio quali sono i componenti di ogni ingrediente, anche per scartare quelli che possano sovrapporsi aromaticamente. Notevole che per la produzione dei suoi Gin (Symphonic 1, 2 e 3), il dottor Ulrich usi un distillatore a ultrasuoni, capace di estrarre tutti gli aromi interessanti in pochissimo tempo e con una carbon foot print molto più bassa degli altri strumenti abituali. La chimica del Gin, spesso dimenticata in Italia, è sempre molto considerata in UK.
Poi c’è stato il racconto su come aprire una nuova distilleria, analizzando il caso della nascente Surrey Copper Distillery, che tra le altre cose, ha scelto di avvalersi di impianti made in Italy.
Il bello delle discussioni tra operatori da queste parti, è che non si cercano facili soluzioni, i produttori si interrogano su come migliorare il movimento, per avvicinare sempre più consumatori informati al Gin. Da qui il momento sulla guida agli aromi che la Gin Guild sta ultimando: una scheda che accompagna il prodotto, di facile interpretazione grafica, con un breve testo di 20 parole, per descrivere in maniera semplice ma precisa ogni Gin, uno strumento che servirà a identificare al meglio il nostro Gin preferito. Di sicuro utile, staremo a vedere la capacità di attecchimento di questo progetto nel panorama mondiale.
Poi la degustazione guidata dei seguenti Gin:
- London to Lima, 42,8%, un progetto Anglo peruviano, a base di botanicals andini;
- Hapusa Himalayan Gin, 43%, dall’India, a dimostrazione che il Gin è davvero un fenomeno globale;
- Le Tribute, 43% dalla Spagna, un Gin agrumato e gradevole, una chicca inaspettata dalla penisola Iberica;
- Procera Gin, 44%, dal Kenia, a base di una locale specie di Ginepro, chiamata appunto Procera;
- Redsmith Apple Gin, 40%, gustoso e dolce, grazie all’aggiunta di mele Bramley;
- Tanqueray Flor de Sevilla, 41,3%, l’interpretazione di questo grande brand del trend dei Gin agrumati, decisamente estivo;
- Martin Miller’s 9 moon, 40%, un Gin affinato in botte al quale alla fine è aggiunto nientedimenoche un distillato di cetriolo;
- Poetic License – Sweet bell pepper and Naga chilli Gin, 41,4%, a base di peperoncini, fruttato e estremo, non ho ben capito perché fosse in questa degustazione.
Tutto sommato una raccolta di Gin sensazionalistici, capaci di suscitare sorpresa, ma non meraviglia
Dopo questi assaggi, un panel composto da Justin Hicklin, membro del direttivo della Gin Guild, Nate Brown di Merchant House, Cherry Constable giornalista e giudice in competizioni internazionali, Gavin Lennox del centro tecnico di Diageo e guidato da Charles Maxwell, ha ulteriormente ragionato sulla necessità di guidare i consumatori con appositi strumenti quali la guida ai sapori che la Gin Guild sta per lanciare.
Molto interessante e di nicchia la discussione sul legno da utilizzare per l’invecchiamento del Gin, guidata dal francese Alexandre Sakon. Un trend di crescente interesse, che è bene analizzare a dovere, per evitare di bere i solfiti che notoriamente restano imprigionati nelle botti che hanno contenuto vino e che un diluente come l’alcol del Gin può sciogliere.
Il seminario post pranzo, guidato dal sempre ottimo Olivier Ward di Gin Foundry, verteva sulla produzione in proprio del alcol di base da “rettificare” per produrre Gin. La notevole difficoltà tecnica per arrivare a una gradazione di 96% e gli investimenti necessari, rendono i brand che ci riescono degli eroici pionieri, spesso non premiati dal mercato. È evidente che i prezzi dovrebbero essere molto diversi, tra chi compra il proprio alcol di base e chi se lo produce, ma il consumatore non è ancora pronto a riconoscere questo sfumature. Per questo i blog come Gin Italy, spingono queste tematiche, per rendere onore a chi eleva la qualità del Gin.
Joanne Moore Master Distiller di lungo corso, ci ha guidati in un assaggio di una ricetta di Gin semplice, ma preparata con differenti basi alcoliche: patate, mele, orzo, segale e grano. I cereali, hanno un sapore più delicato, più utili per un Gin che voglia lasciar spiccare gli altri ingredienti, mentre mele e patate (come l’uva che mancava, perché pare non sia stato possibile reperire un alcol prodotto a base d’uva, possibile?) conferiscono un’aromaticità propria al distillato, non sempre piacevole, per i miei gusti classici e ortodossi.
Il successivo momento, mi ha lasciato molto perplesso: l’assaggio di alcuni Gin realizzati con la tecnica del “cold compound” mi ha disorientato. Ho amato dall’inizio la Gin Guild per il suo rigore e per il suo non riconoscere questa tecnica tra quelle ammissibili, perché quindi propinarci questi Gin al Ginposium? Va bene tutto, ma ritrovarsi ad assaggiare un Gin all’aceto Balsamico tradizionale di Modena D. O. P. mi è sembrato troppo. Capisco il successo del brand proposto, capisco la voglia di innovazione e di fare “cassetto”, ma certi confini non vanno superati a mio modesto modo di vedere.
Poi si è passati ad analizzare il mercato USA, con Simon Ford di Ford’s Gin: consigli preziosi per chi vuole lanciarsi nella non facile impresa di esportare nei 50 stati federali. Si perché ognuno di essi ha una legislazione propria, e quindi ogni volta va studiata una strategia ad hoc. Fare Gin è facile, forse troppo, venderlo, spesso impossibile.
L’ultimo momento, guidato da Anne Brocks attuale Capo Master Distiller di Bombay Sapphire e Sam Carter, storico ambasciatore del brand, ci ha condotti in un viaggio tra storia e innovazione di 3 grandi cocktail classici: Martini, Aviation e Negroni. Ognuno di essi può essere modernizzato (se proprio ce ne fosse bisogno), e portato ai giorni nostri, con ingredienti e tecniche innovative.
Il Ginposium è un appuntamento annuale a cui dovrebbero partecipare i produttori italiani. Ho constatato con estremo piacere, la presenza di un personaggio che si appresta a iniziare un nuovo brand di Gin nostrano, il quale prima di lanciarsi nell’ardua impresa, ha voluto venire a formarsi qui. Complimenti.